Il 7 giugno 1918 un giovanissimo Hemingway, volontario della Croce Rossa, prestò soccorso in occasione dello scoppio della fabbrica di munizioni Sutter&Thévenot a Castellazzo di Bollate, alle porte di Milano. Le 59 vittime furono quasi tutte donne, molte giovanissime, che da più parti del Paese si trovavano a lavorare in questo luogo. Hemingway racconterà la tragedia anni dopo nella raccolta “I Quarantanove racconti”.
Unica testimonianza di un luogo non più esistente e di un episodio a lungo dimenticato, è la documentazione fotografica commissionata nel 1917 dalla Sutter & Thévenot al famoso fotografo milanese Luca Comerio: immagini che documentano gli ambienti della fabbrica e la vita che vi si svolgeva.
Il 7 giugno 2018, in occasione del centesimo anniversario della tragedia, si è svolto un momento commemorativo per ricordare e riflettere su temi importanti come la dignità, i diritti, il lavoro, la giustizia, il sacrificio, il ruolo civile e sociale delle donne. Nei giorni a ridosso della ricorrenza, sono state realizzate numerose attività volte a diffondere la conoscenza di questo importante episodio storico e a promuovere il grande valore culturale e naturalistico del territorio del Castellazzo.
Il 28 giugno 1914 a Serajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina, alcuni colpi di pistola sparati dallo studente nazionalista serbo Gavrilo Princip, di appena vent’anni, uccisero l’Arciduca d’Austria Francesco Ferdinando e sua moglie, innescando una serie di decisioni politiche ed avvenimenti che condussero allo scoppio di una guerra su scala mondiale.
Il conflitto, in cui persero la vita 600 mila italiani, avrà uno spaventoso bilancio di oltre 10 milioni di morti, con un conseguente disastro economico e culturale che avrà ripercussioni sull’intero continente europeo. Si prepara così il terreno all’avvento in Europa dei regimi totalitari che insanguinarono il ‘900, definito dagli storici “il secolo breve” a causa delle profonde e straordinarie trasformazioni tecnologiche, sociali ed economiche avvenute tra lo scoppio della prima guerra mondiale e la caduta del muro di Berlino, con il conseguente dissolvimento dell’Unione Sovietica.
L’inizio delle ostilità tra l’Austria, l’Ungheria e la Serbia nel luglio 1914 coinvolse subito altre nazioni. La Germania, schierandosi con l’impero austro-ungarico, dichiara guerra alla Russia, che aveva preso le difese della Serbia, e alla Francia. La Gran Bretagna entra allora nel conflitto contro la Germania nell’agosto 1914. In questo frangente l’Italia dichiara la propria neutralità. Nell’aprile del 1915 viene stipulato il patto di Londra, che vede il nostro paese alleato con Francia e Gran Bretagna. Il 24 maggio 1915 l’Italia entra in guerra.
Negli anni del conflitto la produzione industriale di armamenti aumentò con un ritmo vertiginoso.
Uno sviluppo cosi imponente fu possibile perché il governo italiano, guidato da Antonio Salandra, assillato dalle difficoltà economiche e sempre convinto della breve durata della guerra, decise che le richieste dei comandi militari dovessero essere accolte a qualsiasi condizione , dando precedenza al fattore tempo nella stipulazione dei contratti. Offrì quindi alle industrie belliche contratti vantaggiosissimi e concesse amplissimi poteri ai comitati di mobilitazione in cui dominavano gli industriali. Venne a crearsi quindi una situazione in cui lo stato forniva alle industrie sia le materie prime sia una manodopera disciplinata e costretta a sottoporsi a qualsiasi ritmo di lavoro. Inoltre lo stato non solo accettava qualsiasi prezzo richiesto dall’impresa privata, ma anticipava anche la maggior parte dei costi di produzione, permettendo che le industrie prosperassero e si accrescessero con elevati margini di guadagno. Tutto ciò comportava costi sociali molto alti, che ricadevano in primo luogo sugli operai dell’industria bellica, sottoposti a una rigida disciplina e a ritmi di lavoro quanto mai intensi, con turni di dodici ore e lavoro notturno, salari decisi d’autorità e disciplina militare nelle fabbriche.
Testo a cura di Giordano Minora
L’intensità e il prolungarsi del conflitto che, nelle previsioni dei paesi belligeranti, avrebbe dovuto essere di breve durata, impose la creazione di sistemi di produzione di materiale bellico da realizzare in breve tempo, per far fronte alle sempre maggiori necessità. Per l’approvigionamento di bombe e granate destinate alla fanteria impegnata sul fronte l’Esercito Italiano fece ricorso alla società svizzera Sutter con sede a Zurigo che, su licenza della società francese F. Thévenot e fils, titolare di brevetti su alcuni particolari tipi di ordigno, insediò un impianto di produzione costituito inizialmente da baraccamenti costruiti dal Genio Militare a Castellazzo di Bollate, un territorio dentro l’attuale territorio del Parco delle Groane sito alla periferia della città di Milano.
La scelta del luogo è attribuibile alla distanza dai centri urbani, alla vegetazione circostante che permetteva di celare l’attività svolta e soprattutto alla vicinanza sia della linea ferroviaria Milano Saronno che del deposito militare di Ceriano Laghetto.
In data 23 ottobre 1916 la società richiede al Sindaco di Bollate di poter iniziare l’attività. Dal registro delle denunce d’esercizio del Comune risulta l’avvio dal 6 novembre 1916 da parte della Ditta Sutter & Thévenot delle operazioni di “caricamento bombe da trincea” in località “Fornace Bonelli” a Castellazzo.
Di fronte alla richiesta di aumento della produzione da parte dell’Amministrazione Militare, in data 31 maggio 1917 viene presentata al Comune una domanda per l’ampliamento dei reparti di lavorazione. Nello stesso documento viene comunicato anche che tutti gli addetti sono assicurati alla Cassa Nazionale contro gli Infortuni. In data 8 giugno 1917 viene concesso il nulla osta da parte del Sindaco “limitatamente al periodo di durata della guerra”. Il numero degli edifici, costituiti da linee di baraccamenti, arriverà ad un totale di 40, come si desume da una relazione del Perito Comunale dopo l’effettuazione di un sopralluogo.
Le donne fornirono una grandissima parte della manodopera necessaria, costituita da circa 1.300 addetti. Le operaie più giovani avevano solamente 13 anni.
Terminato il conflitto la fabbrica venne smantellata anche su richiesta della Giunta Municipale che, come risulta da un verbale del 16 febbraio 1919, pregava il Sindaco di “insistere presso le Autorità competenti perché venisse tolto completamente il polverificio nel più breve tempo possibile”.
Testo a cura di Giordano Minora
Venerdì 7 giugno 1918, alle ore 13,50, lo stabilimento Sutter & Thévenot è scosso da una devastante esplosione che provoca, fra gli operai addetti alla produzione, 59 vittime, di cui 52 donne, quasi tutte giovanissime. La violenza dello scoppio, avvenuto verosimilmente nel reparto spedizione dove vi era la massima concentrazione del materiale esplodente, dilaniò i corpi delle vittime e ne disperse i resti a grande distanza. Dei numerosi feriti – più di 300 – i più gravi vennero trasportati all’Ospedale Maggiore di Milano, gli altri vennero soccorsi direttamente sul campo.
La descrizione di quanto accaduto è riportata nelle pagine del Chronicon della Parrocchia di San Guglielmo di Castellazzo, che così si esprime:
“59 morti e trecento e più feriti. Lo scoppio è avvenuto il giorno 7 giugno 1918, dedicato al Sacro Cuore di Gesù, alle ore 13.50 legali. Appena avvenuto lo scoppio, che fu sentito alla distanza di 30 chilometri e che produsse allo stabilimento e paesi limitrofi di Castellazzo, Bollate, Garbagnate, Senago la rottura di vetri in tutte le case, chiese, asili, scuole e stabilimenti, giunsero da Milano automobili della Croce Rossa con tutti i mezzi di soccorso. Dalle 14.30 fino alle 21 fu un continuo andirivieni di automobili, che portarono autorità sul luogo del disastro. Vi accorsero prontamente i Parroci di Castellazzo, Senago e Pinzano per i soccorsi religiosi. Sua Eminenza il Cardinale Arcivescovo, appena informato della gravissima disgrazia, si recò immediatamente sul posto visitando la località colpita dallo scoppio, benedicendo i morti e confortando i feriti meno gravi, soccorsi sul luogo, e gli operai rimasti illesi. Descrivere l’ambascia e il cordoglio di tutti e specialmente dei Castellazzesi in quella terribile giornata penna umana non basterebbe; l’improvvisata sala mortuaria sembrava un vero carnaio; alle ore 22 il Parroco si trovava ancora una volta presso tanta desolazione per constatare de visu la morte di qualcuna delle sue giovani parrocchiane”.
Testo a cura di Giordano Minora
Il Corriere della Sera e l’Avanti di domenica 9 giugno 1918 pubblicano entrambi il comunicato emesso il giorno precedente dall’agenzia di stampa governativa Stefani di Roma, l’unica autorizzata a diffondere le informazioni durante il periodo bellico. Nel testo appare evidente la volontà di minimizzare l’episodio riducendo la portata delle sue tragiche conseguenze.
“È avvenuta ieri una esplosione nel polverificio di Castellazzo di Bollate in provincia di Milano. I danni, dal punto di vista militare, possono ritenersi pressoché insignificanti, essendo rimasto distrutto soltanto il capannone dove si eseguiva la spedizione delle bombe a mano. Anche alcuni capannoni adiacenti non subirono che lievi danni. Si debbono invece lamentare 35 morti e circa un centinaio di feriti. Il lavoro, interrotto per sole 24 ore, è già stato ripreso. Dall’inchiesta in corso sembra sia escluso che il tutto debba attribuirsi a dolo”.
Sempre sull’episodio il quotidiano Il Popolo d’Italia diretto da Benito Mussolini riporta in data 12 giugno 1918 la notizia di interrogazioni di 3 deputati presentate al Ministro dell’Interno, della Guerra e di Grazia e Giustizia per conoscere il risultato dell’istruttoria di indagine, di eventuali responsabilità e, soprattutto, quali provvedimenti siano stati presi nei confronti dei dirigenti.
Testo a cura di Giordano Minora
Lo scrittore Ernest Hemingway, allora giovanissimo e non ancora famoso, si trovò a passare sul territorio di Bollate proprio in occasione della tragedia del 7 giugno 1918.
Arruolatosi volontario nella Croce Rossa Americana come guidatore di autoambulanze, il giovane Hemingway era per caso arrivato in treno da Parigi a Milano proprio la mattina stessa del drammatico evento. Nel primo pomeriggio, fu richiamato immediatamente in servizio e fu inviato sul luogo del disastro per prestare soccorso.
Per il diciannovenne Ernest la vista dei corpi dilaniati dall’esplosione e soprattutto la scoperta che quasi tutte le vittime fossero donne fu un trauma tremendo. Da questa visione non si liberò mai, tanto da portarlo a scriverne, quattordici anni dopo, nel racconto Una storia naturale dei morti. contenuta nel volume “I quarantanove racconti” pubblicata per la prima volta a New York nel 1938 e per la prima volta in Italia nel 1947.
Ecco come Hemingway ricorda la sua terribile esperienza:
Quanto al sesso dei defunti, è un dato di fatto che ci si abitua talmente all’idea che tutti i morti siano uomini che la vista di una donna morta risulta davvero sconvolgente. La prima volta che sperimentai quest’inversione fu dopo lo scoppio di una fabbrica di munizioni che sorgeva nelle campagne intorno a Milano, in Italia. Arrivammo sul luogo del disastro in autocarro, lungo strade ombreggiate da pioppi e fiancheggiate da fossi formicolanti di animaletti che non potei osservare chiaramente a causa delle grandi nuvole di polvere sollevate dai camion. Arrivando nel luogo dove sorgeva lo stabilimento, alcuni di noi furono messi a piantonare quei grossi depositi di munizioni che, chissà perché, non erano saltati in aria, mentre altri venivano mandati a spegnere un incendio divampato in mezzo all’erba di un campo adiacente; una volta conclusa tale operazione ci ordinarono di perlustrare gli immediati dintorni e i campi circostanti per vedere se ci fossero dei corpi. Ne trovammo parecchi e li portammo in una camera mortuaria improvvisata e, devo ammetterlo francamente, la sorpresa fu di scoprire che questi morti non erano uomini ma donne…
Ricordo che dopo aver frugato molto attentamente dappertutto per trovare i corpi rimasti interi ci mettemmo a raccogliere i brandelli. Molti di questi furono staccati da un fitto recinto di filo spinato che circondava l’area dove prima sorgeva la fabbrica e dalle parti di edificio ancora esistenti, da cui raccogliemmo molti di questi pezzi staccati che illustravano fin troppo bene la tremenda energia dell’alto esplosivo. Trovammo molti di questi brandelli nei campi, a una distanza considerevole, dove erano stati portati dal loro stesso peso.
Al termine del servizio, sulla strada del ritorno, il giovane Ernest riflette con i commilitoni sulla terribile esperienza vissuta esprimendosi così:
Al nostro rientro a Milano ricordo che qualcuno di noi parlò dell’episodio e riconobbe il suo aspetto irreale. Anche il viaggio attraverso la bella campagna lombarda, piacevole benché polveroso, rappresentò un compenso all’ingratitudine del servizio, e al ritorno, mentre ci scambiavamo le nostre impressioni, fummo tutti d’accordo che l’incendio scoppiato poco prima del nostro arrivo fosse stato domato così in fretta e prima che potesse raggiungere uno di quei depositi, apparentemente enormi, di munizioni inesplose. Fummo anche d’accordo che la raccolta dei brandelli era stata un’esperienza straordinaria, essendo stupefacente che il corpo umano, investito da uno scoppio, andasse in pezzi che non rispettavano in alcun modo la sua struttura anatomica, ma piuttosto si dividevano capricciosamente come la frammentazione nello scoppio di un proiettile ad alto esplosivo.
Le drammatiche ore trascorse a Castellazzo di Bollate nella pietosa missione rappresentarono quindi per il futuro scrittore un impatto sconvolgente con la realtà della morte, destinato a lasciare una traccia profonda e indelebile nella sensibilità del suo animo. Due giorni dopo il giovane Hemingway lasciava Milano per proseguire il suo viaggio verso Schio, dove aveva sede la sezione della Croce Rossa Americana cui era stato assegnato.
Testo a cura di Giordano Minora
La notizia delle esequie viene riportata in questi termini dal Corriere della Sera del 10 giugno 1918:
Commoventi ed imponenti si sono svolti domenica a Castellazzo i funerali delle vittime dello scoppio. Ventun feretri con altrettante salme identificate e altri dieci contenenti i resti pietosamente raccolti di altre vittime vennero collocati sui carri militari coperti di drappi neri e infiorati. Parteciparono ai funerali inoltre autorità militari e civili, venute anche dai paesi vicini. Da Milano era giunto anche il generale Sardegna. Sulla facciata della chiesa di San Guglielmo venne esposta una insegna in cui era scritta la seguente dicitura “Alle lacrimate vittime da improvviso turbine strappate all’affetto della famiglia nell’ore consacrate al lavoro per la grandezza della patria preci e suffragi”. Un corteo di quindicimila persone ha seguito i feretri che, dopo l’ufficio funebre, vennero trasportati al cimitero di Bollate. Un drappello di soldati e le musiche rendevano gli onori militari. Ai funerali hanno partecipato anche rappresentanti della missione americana.
Anche il parroco di Castellazzo sul Chronicon commenta così la cerimonia:
Le esequie ebbero luogo il giorno 9 giugno 1918 alle ore 15 legali nella chiesa parrocchiale di Castellazzo. Precedeva il lugubre corteo la fanfara militare degli alpini, quindi di seguito la croce delle figlie di Maria, dei Luigini Confratelli e Consorelle del SS Sacramento, il clero in numero di venti sacerdoti, a capo dei quali il prevosto di Bollate funzionante. Poscia sei camion, sopra ciascuno dei quali erano adagiate quattro casse coperte dei drappi nazionali. Subito dopo i feretri venivano Mons. Cavorali, rappresentante di sua Eminenza il Cardinale Arcivescovo, il generale Sardegna, il cavalier Sutter, cinque tecnici dello stabilimento ed una fiumana di parenti, amici e curiosi. Ben diecimila assistettero ai funerali, che si dovettero fare sul vasto piazzale della chiesa essendo insufficiente il tempo per deporre le casse sul palco eretto appositamente in chiesa. Erano ventiquattro le casse dove si erano raccolti non solo i corpi ma i miseri avanzi delle vittime ridotti in uno stato irriconoscibile. Non potendo il cimitero di Castellazzo, perché angusto, contenere tutti quanti, il Sindaco di Bollate dispose che le vittime fossero sepolte in quello di Bollate, tranne una certa Taveggia Annalisa che fu tumulata nel cimitero di Castellazzo ed altre due giovani in quello di Garbagnate. Le associazioni cattoliche dei paesi circostanti presenziarono ai funerali coi loro rispettivi vessilli. Siccome gli avanzi delle vittime furono lanciati alla distanza di duecento e più metri, con tutta sollecitudine furono raccolti in nuove casse, così per una settimana intera si ebbe il triste spettacolo di vedere ogni giorno uno o due funerali. Anche questi avanzi furono sepolti nel cimitero di Bollate. Le vittime dello scoppio, come risulta dal registro dei morti, sono 59, di cui 4 di Castellazzo, che sono: Conconi Carlotta di Alessandro, Fusi Genoveffa del fu Alessandro, Fusi Giuseppa di Vincenzo e Taveggia Amalia di Angelo. Delle prime tre non si trovò traccia alcuna, mentre la Taveggia fu identificata e tumulata nel cimitero di Castellazzo.
Il 10 giugno sono ritornate dall’ospedale della Pace perfettamente guarite dalle ferite Montrasi Giuseppa di Ambrogio e Colombo Pierina di Carlo. Come pure il giorno 23 Colombo Angela di Carlo e Galimberti Giuseppa di Giovanni.
In prossimità dell’ingresso del cimitero di Bollate si trova un monumento in pietra a ricordo delle vittime della tragedia.
Testo a cura di Giordano Minora
Nel 1917 fu commissionata al grande fotografo milanese Luca Comerio la realizzazione di una documentazione fotografica dello stabilimento Sutter&Thevenot che egli documentò con numerose fotografie di altissima qualità che documentano la vita, le attività, le persone, gli ambienti e il territorio del grande stabilimento. Il materiale fotografico ancora esistente risulta pertanto una documentazione importante per ricostruire la storia di una fabbrica che l’anno successivo fu coinvolta per buona parte dallo scoppio. Numerose fotografie ritraggono anche molte delle donne che sarebbero morte l’anno successivo.
I materiali sono conservati presso l’Archivio di Stato di Perugia – sezione di Spoleto in una sezione denominata Fondo Basler che comprende documenti, disegni tecnici, volumi, album fotografici, progetti di costruzione di linee ferroviarie in Umbria. Si tratta nel complesso di una ricca testimonianza della vita professionale dell’ing. Paolo Basler (1885-1979), di origine svizzera, ma soprattutto di una straordinaria raccolta di documenti storici, che per il loro notevole interesse vennero acquistati dallo Stato italiano nel 2009.
Le fotografie originali sono di ottima qualità e scattate con incomparabile maestria da Luca Comerio, figura fondamentale nello sviluppo dell’arte fotografica in Italia. In ognuna di esse infatti persiste una profondità di campo in grado, anche grazie al grande formato delle stampe, di proiettare il visitatore nei reparti della fabbrica e di cogliere anche i più piccoli dettagli dei soggetti come i piedi nudi, le ciabatte, le unghie smaltate, il cibo nelle ciotole, le acconciature dei capelli.
Biografia di Luca Comerio
Nasce a Milano il 19 novembre 1878 nel quartiere di Porta Volta, dove il padre gestisce una bottiglieria frequentata da molti artisti dell’ambiente della Scapigliatura. Dal fotografo e pittore Belisario Croci, assiduo frequentatore del locale paterno, Luca apprende i primi rudimenti dell’arte fotografica, divenendo presto assistente di studio.
La sua carriera inizia nel 1894 con un vero e proprio scoop fotografico, quando riesce a scattare alcune istantanee a re Umberto I di Savoia, in visita a Como. Da esse ricava una gigantografia di due metri e mezzo, che invia al sovrano guadagnandosi il suo apprezzamento e anche un primo ordinativo di altre 5 foto. Sempre grazie alla sua intraprendenza e al suo coraggio, realizza un servizio fotografico che documenta i moti di Milano del 1898, scattando istantanee nelle strade cittadine in piena sommossa, poi pubblicate dalla rivista L’illustrazione italiana.
L’attività professionale vera e propria inizia nel 1899, con l’apertura di uno studio fotografico in via Solferino 30, specializzato in ritratti, istantanee, vedute, riproduzioni artistiche. La fama di Comerio è ormai affermata quando, nel 1906, la rivista Il Secolo Illustrato pubblica i suoi servizi fotografici sull’Esposizione Universale tenutasi al Parco Sempione di Milano, o quando, nel 1907, vince un concorso fotografico internazionale presentando un fotomontaggio di immagini della vita mondana milanese. Con il denaro del premio, Comerio acquista a Parigi una modernissima cinepresa e decide di cimentarsi nella nascente arte della cinematografia, fondando presto la casa di produzione Luca Comerio & C., che successivamente diventerà Milano Films. Da questo momento la sua attività cinematografica si intreccerà sempre con l’attività di fotografo (sia da studio che di reportage e cronaca). Alcuni avvenimenti vengono infatti da lui seguiti sia in fotografia sia in cinematografia (per esempio il terremoto di Messina del 1908, la guerra di Libia nel 1911-12, il ballo Excelsior nel 1913-14).
I suoi soggetti fotografici più famosi spaziano dall’architettura (le opere di Luca Beltrami nel centro di Milano) al mondo dell’industria (servizi per Pirelli e Isotta Fraschini, foto dello stabilimento Sutter & Thevenot). Come reporter si distingue invece durante la Prima Guerra Mondiale (1915-18), unico civile ammesso dallo Stato Maggiore dell’Esercito per documentare le operazioni al fronte. Nel 1920, mentre filma la gara automobilistica “Coppa delle Alpi”, cade dalla macchina del pilota Ascari, da cui effettuava le riprese. Le conseguenze del grave infortunio segnano l’inizio del suo declino, tra problemi finanziari e dispiaceri familiari. All’inizio degli anni Trenta, ormai disoccupato e solo, si ritira a vita privata, con il solo conforto della seconda moglie Maria, che gli aveva dato due figli. Afflitto da problemi di amnesia, muore il 5 luglio 1940 all’Ospedale Psichiatrico di Mombello.
Testo a cura di Giordano Minora
Nel 1915, per razionalizzare e sovrintendere allo sforzo produttivo nel periodo bellico, lo Stato istituì il Ministero per le armi e munizioni, alla cui ripartizione per la Mobilitazione Industriale competeva l’individuazione degli stabilimenti da considerare “ausiliari”. Su tali stabilimenti lo Stato esercitava un controllo maggiore, anche nei confronti degli operai, che venivano assoggettati a un pesante regime disciplinare – sospensione di tutte le conquiste sindacali a cominciare dal diritto di sciopero, orari e cottimo in funzione dell’emergenza, multe e licenziamenti per donne e ragazzi, disciplina militare per gli uomini -, ma avevano più facilità nell’aggiudicarsi le commesse dello Stato. Il Polverificio Sutter & Thevenot, era stato dichiarato “ausiliario” nel 1917 ed era fornitore dell’esercito italiano al fronte in virtù di contratti stipulati direttamente con il Ministero per le armi e munizioni.
All’indomani dello scoppio venne istituita dal Ministero stesso una commissione militare di inchiesta con il compito di accertare le cause dell’esplosione. Le copie conformi degli atti prodotti dalla commissione sono conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma nel Fondo Ministero Armi e Munizioni.
Nella busta 12 sono contenuti documenti di straordinaria importanza a livello tecnico e investigativo – perizie, mappe e relazioni – ma, su tutti, emergono i verbali di interrogatorio di molti dipendenti ascoltati come testimoni presenti al momento dell’accaduto, che rappresentano testimonianze preziose anche, e soprattutto, dal punto di vista umano e sociale.
Quelli che allora erano stati redatti come formali interrogatori a supporto di indagini relative a un incidente sul lavoro, sono oggi per noi testimonianze vive, narrate in prima persona, che, raccontando la quotidianità di un lavoro duro e pericoloso, ci trasmettono le emozioni, le paure, lo smarrimento degli interrogati. Ci permettono anche di entrare nella fabbrica, quasi di vedere la disposizione dei reparti, delle operaie al tavolo di lavoro e del materiale accatastato, ci comunicano i sospetti e le paure degli operai – donne e uomini –, denunciano le situazioni difficili e spesso moleste che erano costrette a subire le donne impiegate nello stabilimento.
Dei 91 interrogatori conservati a Roma, ne sono stati selezionati per la pubblicazione 19, che sono stati trascritti fedelmente, correggendo solamente i refusi prodotti allora dalla macchina da scrivere, intervenendo sulla punteggiatura solo dove si è reso necessario per agevolare la lettura.
Non serve aggiungere altro.
Lasciamo parlare i documenti, restituendo voce a quelle donne che per troppi anni non l’hanno avuta.
“Ricordo che dopo aver frugato molto attentamente dappertutto
per trovare i corpi rimasti interi
ci mettemmo a raccogliere i brandelli”
Ernest Hemingway – “I quarantanove racconti”